USA: Google dovrà vendere Chrome (e forse Android)

Il Dipartimento di Giustizia americano ha iniziato una causa antitrust presso un giudice federale contro Google (Alphabet), per ottenere una sentenza che imponga al colosso dei motori di ricerca la vendita forzata del suo browser Chrome ad un acquirente approvato dalla Corte.
Non solo: le sarà anche impedito il rilascio di altri browser per almeno 5 anni.


Il motivo alla base di queste richieste è porre fine al suo monopolio nelle ricerche su internet e ristabilire la corretta concorrenza nel mercato pubblicitario online.
Secondo il Governo USA, in sostanza, se Google ha il monopolio delle ricerche, ha anche il dominio sulla pubblicità che compare nei risultati, e ciò grazie al fatto che Google è il motore di ricerca predefinito di Chrome.
In effetti questo è quanto l’Europa dice già da anni riguardo le big tech: sono sistemi chiusi, che impediscono l’accesso ai rivali nel mercato della pubblicità e delle I.A.

Se Google dovesse rinunciare al ramo centrale del suo business, entrerebbero nelle sue casse fino 20 miliardi di dollari, tale è il valore di Chrome.

Inoltre anche il sistema operativo per smartphone, Android, contribuisce al successo di Google, essendone il motore di ricerca predefinito: se si cerca qualcosa dalla home del cellulare, la si cerca con Google.
Quindi probabilmente verrà chiesto di vendere anche Android o di far sì che non sia l’opzione di default.

Da Mountain View, tali richieste sono state definite estreme ed avanzerà controproposte più moderate, contando anche sul fatto che il procedimento terminerà sotto un governo diverso, quello di Trump, più liberista di quello Biden.
L’azienda ha poi dichiarato che ricorrerà in appello, avanzando obiezioni e perplessità perchè da un’operazione del genere avrebbero un danno consumatori, sviluppatori e l’intera leadership americana.

Si attende la sentenza entro agosto 2025.
Ma siamo sicuri che sia questo che gli utenti vogliono?

L’ombra dell’IA nel mondo delle voci: lo scontento di doppiatori e conduttori

L’avvento dell’intelligenza artificiale sta rivoluzionando numerosi settori, compreso quello dell’audiovisivo. Se da un lato l’IA offre nuovi strumenti e possibilità creative, dall’altro solleva preoccupazioni, soprattutto per l’impatto sul lavoro umano.
Negli ultimi mesi, due eventi hanno messo in luce questa complessa realtà: l’esperimento di una radio polacca che ha sostituito i suoi conduttori con voci generate dall’IA e le proteste dei doppiatori giapponesi, preoccupati per la crescente minaccia rappresentata dall’intelligenza artificiale.



LA RADIO CON DOPPIATORI ARTIFICIALI

Il 22-10-2024 la radio polacca OFF Radio Krakow ha fatto parlare di sé a livello internazionale dopo aver trasmesso un’intervista alla vincitrice del Premio Nobel per la letteratura del 1996, la poetessa Wislawa Szymborska.
Peccato che la Szymborska sia morta nel 2012 l’intervistatrice Emilia non esista.
A dialogare erano due voci sintetiche, una delle quali replicava la voce e interpretava i pensieri del Premio Nobel, basandosi su sue interviste rilasciate quando era in vita.
La radio ha infatti affidato la conduzione dei suoi programmi a tre avatar virtuali creati dall’IA.
Questa scelta, motivata dalla volontà di esplorare le potenzialità dell’intelligenza artificiale e di raggiungere un pubblico più giovane, ha però portato al licenziamento di diversi giornalisti.
Molte sono state le polemiche. E’ chiaro che l’introduzione di conduttori artificiali fosse un modo per tagliare i costi: questi non vanno in malattia, non possono scioperare, né esprimere critiche ai loro editori o dimettersi e, soprattutto, lavorano gratis.
A seguito delle proteste e di una petizione che ha raccolto 23.000 firme, il direttore dell’emittente ha spiegato che si è trattato solo di un esperimento che già in partenza doveva durare solo 3 mesi ed ha interrotto il progetto il 29/10/2024, dopo una sola settimana. Tuttavia, nessun reintegro è previsto: la radio ora trasmette soltanto musica, senza programmi affidati a conduttori.



I DOPPIATORI “ALZANO LA VOCE”

In Giappone, i doppiatori stanno manifestando il loro disappunto per l’utilizzo sempre più frequente delle voci sintetiche nell’industria audiovisiva. Temono che l’IA possa sostituirli completamente, privandoli del loro lavoro e svalutando l’arte del doppiaggio.
Una performance generata artificialmente non potrà mai equivalere a quella di un essere umano: toglie l’anima e la spontaneità da un’esibizione” affermano.
Si sentono “derubati” della loro voce. Spesso, infatti, viene chiesto loro di firmare contratti che consentano alle aziende di creare una versione sintetica della loro voce da utilizzare successivamente, senza il loro coinvolgimento e senza chiarire se otterrebbero compensi aggiuntivi per l’uso della loro voce riprodotta.
Un’altra preoccupazione riguarda la possibilità che gli strumenti di sintesi vocale facciano pronunciare loro affermazioni gravi e diffamatorie senza il loro consenso.
Vi sono poi questioni etiche più profonde come l’uso postumo delle voci: cosa accadrà alla voce di un doppiatore scomparso? Chi avrà il diritto di utilizzarla?
Purtroppo attualmente i doppiatori non godono di un’adeguata protezione legale: al contrario di un volto o di un’opera, la voce non è ancora riconosciuta come proprietà intellettuale.




L’intelligenza artificiale fa passi da gigante e ad una velocità incredibile. Resta da capire se sarà più un’opportunità o una minaccia per media, radio e giornalismo, perché piuttosto che sostituire l’uomo, l’IA dovrebbe essere uno strumento per potenziare le capacità creative degli artisti e dei professionisti del settore.