Tag Archivio per: digital transformation

VEO3: Google crea video più veri del vero

Lo sbalorditivo realismo di VEO 3

Sono diventati virali alcuni video creati da Veo3, la nuova intelligenza artificiale lanciata da Google pochi giorni fa. Stanno spopolando su internet e sui social, sbalordendo il pubblico, per via del loro estremo realismo.
Sembrano infatti provenire da film, telegiornali o da interviste vere e proprie.
Questo nuovo modello di intelligenza artificiale generativa permette di creare filmati estremamente realistici e incredibilmente nitidi, partendo da un semplice prompt scritto. Funziona dunque come un qualunque chatbot: per l’utente è sufficiente scrivere la descrizione di ciò che vuole creare per ottenere in pochi minuti (al massimo due) una clip di 8 secondi.
Già solo per la qualità del filmato, Veo 3 si dimostra superiore ad ogni altro servizio simile esistente fino ad ora (come Sora di Open AI).
Ma non è tutto: Veo 3 permette di aggiungere anche colonne sonore, rumori e dialoghi.
Il tutto avrà però un costo di abbonamento piuttosto alto, e per il momento non è disponibile in Europa.

Accanto a questo strabiliante strumento, Google ha presentato anche Flow, un editor con cui modificare e tagliare questo tipo di contenuti, che potrà anche estendere una clip generata in precedenza, magari dandole un finale alternativo.

Stupore e preoccupazione

Le reazioni sul potenziale dimostrato da Veo 3 sono state diverse. Sicuramente entusiasmo ma anche preoccupazione.
E’ inquietante pensare come anche l’occhio più allenato riesca a stento riconoscere che le persone e i luoghi rappresentati nei video non esistano davvero.
Un po’ di allarme c’è anche nel settore del cinema e della televisione, per via del timore che sempre più film, serie televisive o prodotti di animazione vengano fatti in questo modo.
Ciò ridurrebbe molto le spese di produzione ma avrebbe anche conseguenze economiche per i lavoratori (ricordiamo che già nel 2023 gli sceneggiatori di Hollywood entrarono in sciopero anche per difendersi dalle AI).
Un altro motivo di allarme è che questo strumento possa essere utilizzato per generare disinformazione.
Sarà quindi necessario sviluppare sistemi per etichettare le creazioni AI, per esempio con filigrane apposite.

Insomma, si può proprio dire che la creatività umana ora non abbia più limiti e questo è entusiasmante.
L’importante, come per tutte le cose, è che questi strumenti vengano utilizzati in modo consono.


Meta rivoluziona l’interazione con il Downvote e EDITS

I social media sono in continua evoluzione, e Meta, sempre all’avanguardia, starebbe per introdurre due novità destinate a cambiare il modo in cui gli utenti interagiscono con i contenuti

Il pulsante di DOWNVOTE: oltre la semplice disapprovazione

Meta sta testando un nuovo pulsante di “downvote” nel suo social Facebook. Questa funzione, però, non va intesa come un “Non Mi Piace”.
Mentre il “Mi piace” esprime apprezzamento, il “downvote” servirà per indicare contenuti percepiti come irrilevanti, fuorvianti o di bassa qualità.

Meta utilizzerà questi feedback per migliorare la qualità dei contenuti visualizzati dagli utenti. Ciò dovrebbe contribuire a ridurre la diffusione di clickbait, disinformazione e contenuti che non rispettano le linee guida della community.

A differenza di altre piattaforme, i downvote su Meta non saranno pubblici, dunque non influenzeranno la visibilità di un post. Il loro scopo è solo quello di permettere a Meta di affinare i propri algoritmi di ranking dei contenuti.

E’ vero che il pulsante di downvote potrebbe venire utilizzato in modo improprio per silenziare opinioni divergenti o per attacchi contro specifici contenuti o creatori, ma vedremo come Meta gestirà i dati raccolti e come evolveranno le sue politiche per prevenire abusi.


EDITS, l’editing video integrato: la creatività a portata di tap

L’altra grande novità riguarda l’introduzione di EDITS, uno strumento di editing video direttamente all’interno delle app di Meta, in particolare su piattaforme come Instagram e Facebook. Questa mossa risponde alla crescente popolarità dei contenuti video brevi e dinamici. Ora gli utenti avranno la possibilità di rifinire le proprie creazioni senza dover ricorrere ad applicazioni esterne.

Le funzionalità di editing includono opzioni per tagliare e unire clip, aggiungere testo, filtri, effetti speciali e musica di sottofondo. Questa integrazione semplifica notevolmente il processo di creazione e condivisione di video coinvolgenti, rendendo la produzione di contenuti accessibile a un pubblico più ampio.

I creatori di contenuti avranno più efficienza e potranno esprimere la propria creatività in modo più completo all’interno del sistema Meta. Gli utenti occasionali, allo stesso modo, potranno creare video di qualità.
Meta vuole assicurarsi così sempre più partecipazione e interazione e continuare a attrarre e fidelizzare utenti.
Questa novità nasce soprattutto per via della competizione con piattaforme rivali come TikTok, che già possiedono strumenti di editing video nativi.



In un mondo digitale in continua evoluzione, l’adattamento e l’innovazione rimangono elementi chiave per il successo, e Meta sembra intenzionata a rimanere protagonista di questo cambiamento.




Dimentichiamoci di Google.it

LA FINE DEI DOMINI NAZIONALI

Google ha da poco annunciato la progressiva chiusura dei suoi domini nazionali, tra cui la versione italiana del motore di ricerca “Google.it“. La cosa coinvolgerà quindi ogni Nazione, Dalla Germania alla Francia al Brasile e così via.
Tutti i domini locali verranno dismessi per lasciare il posto alla versione unica del sito Google.com.
La motivazione principale di questa scelta risiede nella volontà di attuare una riorganizzazione dell’infrastruttura globale di Google che permetta di ridurre i costi legati alla gestione dei numerosi domini nazionali e delle loro specifiche configurazioni, semplificando al contempo il sistema di aggiornamenti e manutenzione.
La transizione avverrà gradualmente nei prossimi mesi.

COSA CAMBIA PER GLI UTENTI?

Dal punto di vista pratico, per gli utenti la ricerca funzionerà come sempre: questa misura non porterà disagi all’esperienza di navigazione. Semplicemente, se proveremo ad accedere al sito italiano di Google verremo reindirizzati alla versione internazionale google.com.
Tuttavia la home page risulterà standardizzata: stesso layout e stessi strumenti per ogni Paese e non ci saranno più contenuti iniziali personalizzati per l’Italia. Ad esempio, la pagina principale di Google News non avrà più più sezioni dedicate ai portali italiani.

La lingua del browser resterà impostata sull’italiano, poiché le ricerche terranno conto della posizione geografica dell’utente da cui si collega l’utente. L’evoluzione dei sistemi di geolocalizzazione ha reso obsolete le suddivisioni nazionali, che erano necessarie quando il colosso tecnologico non aveva ancora raggiunto una diffusione globale così capillare.

Anche i servizi collegati a google.it rimarranno pienamente operativi: Gmail, Maps, Drive, Traduttore e così via: cambierà solo il dominio da cui vi si accederà.
Parallelamente, questa semplificazione del sistema non influenzerà in alcun modo la gestione degli obblighi legali nazionali da parte di Google.




Mentre arriva la nuova Alexa+… Skype chiude


Le notizie informatiche più degne di nota di questa settimana sono due: si tratta di un nuovo inizio e di una inaspettata fine.

ALEXA+ E’ IN ARRIVO

Il 26 febbraio Amazon ha annunciato una rivoluzione per il suo assistente vocale che si trasformerà in Alexa+.
Sarà più smart, più efficiente e personalizzata. Avrà una personalità, migliorerà e imparerà interagendo con l’utente. Sarà anche più colloquiale: non servirà più formulare le frasi in modo preciso, così la conversazione sarà più fluida (in effetti l’IA ci ha abituati a conversazioni naturali).

Si potrà chiedere all’assistente di fare la spesa o di inviare inviti per un evento, mandare e leggere email, condividere documenti o estrarne informazioni, aggiungere eventi al calendario ma anche scattare foto ed analizzare immagini.
Grazie alle partnership in essere potrà interagire anche con servizi come Uber, Spotify, Apple Music, Netflix, Disney+.
Potremo allora chiedere di riprodurre la nostra musica preferita, cambiare stanza in cui diffonderla, ma anche intrattenere una conversazione riguardo un cantante, magari sulla sua discografia, o addirittura comprare i biglietti per un suo concerto.
Riguardo i film, potremo far domande su personaggi, trame, episodi o riprodurre una specifica scena.

Alexa+ si potrà utilizzare dal sito web, dall’applicazione o su quasi tutti i dispositivi fin’ora lanciati sul mercato (cioè gli Echo Show 8, 10, 15 e 21).
Inizialmente sarà disponibile solo negli USA in inglese, ma arriverà certamente anche in Italia.
Il suo costo è di 19,99 $ al mese, ma è gratuita per i clienti Amazon Prime.

In autunno sono poi attesi anche i nuovi altoparlanti Echo che supporteranno al meglio Alexa+.
I dispositivi Echo più vecchi continueranno a svolgere le funzioni di Alexa “classica”.

L’ADDIO A SKYPE

XDA Developers (comunità di sviluppo di software con milioni di utenti in tutto il mondo) ha scoperto che in alcune stringhe di codice dell’ultima versione preview di Skype è presente la frase “A partire da maggio, Skype non sarà più disponibile. Continua le tue chiamate e chat in Teams“.

Lanciato nel 2003, Skype ha rivoluzionato la comunicazione nei primi anni Duemila. Per molti utenti è stata la prima esperienza di chiamate e videochiamate via internet. E’ stato poi acquistato nel 2011 da Microsoft per 8,5 miliardi di Dollari, che lo ha integrato in Windows e in altri prodotti. Tuttavia col tempo l’applicazione non è stata molto aggiornata. Ha avuto un incremento di utenti durante il lockdown, ma comunque inferiore ad altre piattaforme come Whatsapp, Telegram o Discord, considerate più moderne.

Manca solo l’annuncio ufficiale, ma sembra proprio che Microsoft abbia iniziato la transizione verso Teams, nato nel 2017 come piattaforma di collaborazione rivolta principalmente alle aziende, ma ora proposta anche ai privati.

La notizia arriva come un fulmine a ciel sereno, ma a quanto pare dobbiamo davvero prepararci a salutare Skype.




L’IMPATTO AMBIENTALE DELLE IA: NON CI SONO SOLO I “CONTRO”

L’IMPATTO AMBIENTALE DELLE IA: NON CI SONO SOLO I “CONTRO”


Torniamo a parlare di IA, indagando questa volta su un tema che viene spesso trascurato: il suo impatto ambientale.
L’IA ormai è entrata nel nostro quotidiano, semplificando – spesso gratuitamente – operazioni lavorative e quotidiane e offrendo anche divertimento.
Tuttavia, accanto ai numerosi vantaggi, emergono anche preoccupazioni, come le questioni legate al copyright, alla privacy degli utenti, e ai costi energetici dei complessi calcoli che questi modelli devono eseguire per essere addestrati o per rispondere alle nostre richieste.

Le intelligenze artificiali funzionano in cloud, passando quindi attraverso grandi server, che sono infrastrutture che richiedono energia e acqua.
Produrre l’energia elettrica necessaria comporta la produzione di gas come la CO2, a causa del fatto che la maggior parte dei Paesi produce energia elettrica partendo da combustibili fossili (tra cui gli USA, dove si trova la gran parte delle startup AI).

La Carnegie Mellon University ha calcolato che la generazione di una singola immagine con l’IA consuma la stessa energia necessaria per caricare uno smartphone. Elaborare 1.000 foto provoca la produzione della stessa quantità di CO2 emessa da una piccola auto per percorrere 6,6 km.
Se moltiplichiamo l’operazione per decine di migliaia di foto, le cifre salgono in modo allarmante. La cosa non è da sottovalutare, se consideriamo che solo ChatGPT è utilizzato da 10 milioni di persone al giorno, e che in generale i modelli di IA generativa sono sempre più popolari e vengono interpellati miliardi di volte al giorno.

La generazione di un testo consuma invece l’84% in meno di elettricità rispetto a una foto. Ad ogni modo scrivere un’email di 100 parole con GPT-4 richiedere circa 0,14 kWh, che equivale a tenere accese 14 lampadine LED per un’ora. Non solo l’utilizzo delle IA da parte degli utenti provoca emissioni: anzi, la fase più energivora è quella di creazione e addestramento di un modello: l’intero processo “pesa” circa 3oo tonnellate di CO2.
Per es: l’energia usata per creare ChatGPT-3 è stata pari a quella consumata dal ciclo-vita di 5 automobili, dalla produzione alla rottamazione e con 200.000 km di percorrenza.

Per quanto riguarda il consumo idrico, i server necessitano di essere raffreddati per funzionare in modo sicuro ed efficiente. Il loro calore viene ceduto all’acqua tramite torri di raffreddamento. L’acqua utilizzata in parte evapora e in parte viene riciclata 3-10 volte prima di essere scaricata in fogna.
Si stima che una mail di 100 parole scritta da ChatGPT-4 consumi mezzo litro d’acqua, mentre l’addestramento di ChatGP3 ne avrebbe richiesti 3,5 milioni di litri.
Teniamo ben presente che se l’energia elettrica può essere prodotta da fonti rinnovabili, l’acqua è invece una risorsa limitata e scarsa in molte aree del mondo.

Confrontando l’energia consumata dalle IA e quella necessaria ad un essere umano per portare a termine uno stesso compito, il risultato potrebbe comunque essere a favore dell’AI: i modelli IA hanno grandi picchi di consumo ma rispondono in tempi brevissimi, mentre un artista o uno scrittore impiegherebbe diverse ore per terminare un lavoro ed utilizzerebbe comunque elettricità (produzione di cibo, riscaldamento, altre necessità).
Anche gli anni di studi per poter produrre lavori di qualità implicano investimenti di tempo ed energie: così come formare modelli AI è un processo energivoro, anche la nostra formazione è costosa.

Per eseguire compiti che prevedono il trattamento di enormi quantità di dati, l’IA è più veloce ed efficace e ciò permette di abbattere i tempi e di conseguenza anche il consumo di energia.
Bisogna quindi chiedersi sempre quanto sarebbe costato fare “dal vero” una operazione.
Per esempio, l’impatto ambientale per creare “dal vero” una fotografia pubblicitaria di un’automobile, che necessiterebbe di luci, dello spostamento di persone (che arriverebbero sul set magari in aereo), di catering, etc, sarebbe molto superiore rispetto a quello derivante dalla generazione di quella stessa immagine con l’IA.

Se l’IA viene usata per generare contenuto inutile allora il suo impatto ecologico non è giustificato, diversamente potrebbe anzi ridurlo.
Inoltre nel futuro l’IA consumerà sempre meno, grazie allo sviluppo di modelli più maturi ed efficienti, e poi il costo maggiore che è quello iniziale di addestramento, viene ammortizzato con l’utilizzo.


In vista della crescente domanda di servizi basati sull’IA occorrerà trovare soluzioni per ridurne il pesante costo ambientale.
Servirà investire nelle energie rinnovabili – cosa che sempre più aziende che operano nell’IA stanno facendo – e nella ricerca di modelli più efficienti che richiedano meno dati e consumino meno risorse. Posizionare i data center in luoghi con climi freschi aiuterebbe a ridurre il consumo idrico.

Sarà prezioso anche il contributo degli utenti, che dovranno utilizzare questi strumenti in modo consapevole, limitandone l’uso non necessario.
Come sempre capita, a volte il problema non è la tecnologia in sé, ma l’utilizzo che ne facciamo.




Sospeso il divieto di TikTok negli USA, ma il suo futuro è incerto


Un tema caldissimo di questa settimana è stato l’oscuramento di TikTok negli USA.

LE FASI DELLA VICENDA

2017: l’azienda cinese ByteDance acquisisce Musical.ly (app di lip sync popolarissima tra i giovani) e la integra in TikTok, piattaforma di condivisione di video, che diventa una delle app più popolari del web

2019: TikTok viene multata per la violazione di leggi statunitensi sulla privacy dei minori. Si teme anche che censuri contenuti sensibili per il governo cinese.

2020: Trump vorrebbe vietare TikTok in USA per evitare che i dati degli utenti venissero trasferiti a entità politiche cinesi e per impedire la disinformazione sulle origini del Covid, ma la cosa non va in porto.

2021: TikTok raggiunge oltre 1 miliardo di utenti mensili attivi. Diventa punto di riferimento di tendenze e fenomeni culturali delle nuove generazioni.

2024: Biden firma una legge (il Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act) che vieta TikTok negli Stati Uniti, a meno che la società madre, ByteDance non venda l’app entro il 19/01/2025.

2025: la Corte Suprema deli Stati Uniti conferma il divieto e TikTok va offline il 18 gennaio. L’oscuramento tuttavia dura solo poche ore grazie all’intervento del nuovo presidente Trump che, nel giorno del suo insediamento, sospende il divieto con un ordine esecutivo, concedendo altri 75 giorni a ByteDance per trovare un acquirente.


UNA MINACCIA PER LA SICUREZZA NAZIONALE?

Per gli Stati Uniti l’enorme quantità di dati che raccoglie TikTok dai suoi utenti (preferenze, interessi personali, geolocalizzazioni…) potrebbe essere usata per spionaggio o per creare disinformazione.
TikTok però nega di subire influenze dal governo Cinese e per rassicurare il pubblico ha sposato i dati degli tenti americani su server gestiti da Oracle (statunitense).
Tuttavia la scrittura del codice dell’app e i suoi algoritmi si sviluppano in Cina, cosa che gli USA non accettano.

Non in secondo piano rimane la competizione tra queste due superpotenze su chi dominerà nel settore tech.
Per la prima volta l’app più scaricata al mondo non è americana, ma cinese.
Ricordiamo che è il primato tecnologico che ha permesso fin’ora agli USA di guidare l’innovazione. L’americana Meta ha da sempre influenzato il mondo, con Facebook, ma ora ha perso il primato.

TikTok oggi è importantissima per gli americani: influenza la cultura popolare, dà reddito ad aziende/persone anche emergenti (non si concentra solo su personaggi già famosi) e ha anche ridefinito il modo in cui gli utenti si informano, perchè l’algoritmo propone sia intrattenimento che informazione tra i suoi contenuti.


COSA ACCADRA’?

Trump, che per primo aveva proposto di vietare TikTok, ora la difende, essendosi reso conto che è grazie a lei se ha ottenuto i voti dei giovani americani, permettendogli di tornare alla Casa Bianca.
La mossa di Trump comunque non dà una soluzione definitiva: permette solo all’app di guadagnare tempo rimanendo disponibile negli USA per altri 75 giorni, durante i quali si valuteranno le soluzioni che le consentano di sopravvivere al divieto.
Trump comunque spera nella creazione di una Joint Venture in cui almeno il 50% della proprietà sia in mano a soggetti americani.
Per ora sono due le offerte di acquisto: una viene da Perplexity AI e una da parte del miliardario Kevin O’Leary.
È innegabile l’importanza di questa vicenda, dato che coinvolge le due maggiori economie mondiali.




COLPO DI SCENA SOCIAL: i sistemi di Fact-Checking su FB, X e Instagram verranno aboliti



CAMBIAMENTI IN ARRIVO PER LA MODERAZIONE DEI CONTENUTI SUI SOCIAL MEDIA

Il Fact-checking è il processo di moderazione dei contenuti, di controllo e verifica delle notizie che circolano sui social media come Facebook, Instagram e X (ex Twitter).
Ebbene, le piattaforme social hanno da poco annunciato grandi cambiamenti sul modo in cui gestiranno la verifica delle informazioni.

Meta, la società che controlla Facebook e Instagram, aveva introdotto nel 2016 il suo programma di Fact-Checking per limitare la diffusione di notizie false e contenuti offensivi sui propri social network.
Pochi giorni fa, però, Zuckerber ha informato il mondo che farà un passo indietro, e non si avvarrà più di organizzazioni giornalistiche e fact checker indipendenti, che valutavano i post falsi o fuorvianti, come aveva fatto negli ultimi 8 anni.
Al loro posto, Meta implementerà un sistema di “Community Notes“, simile a quello già in uso su X di Elon Musk, basato sul contributo degli utenti. In pratica, saranno gli utenti stessi a segnalare, correggere e contestualizzare le informazioni potenzialmente false o fuorvianti, condivise da qualcun altro.

Tra i motivi di questa scelta (che strizza l’occhio al nuovo presidente Trump) c’è quello di tutelare la libertà d’espressione, evitando la censura ed il politicamente corretto.
Questa iniziativa è un «compromesso» che ridurrà anche il numero di post che vengono eliminati erroneamente.
Al contempo Meta si libererà di un programma molto dispendioso (tra i costosi algoritmi IA e i tantissimi moderatori sparsi in tutto il mondo) e che non era mai stato del tutto soddisfacente: il fatto che società private avessero il diritto di decidere cosa si può dire e cosa no non è mai piaciuto a nessuno.

Le nuove politiche entreranno in vigore nei prossimi mesi ma inizialmente solo negli Stati Uniti, visto che in Europa vigono leggi più restrittive (il DSA) che impongono alle società di Big Tech di assumere maggiore responsabilità per i loro contenuti.

LE CONSEGUENZE PER GLI UTENTI

Questa svolta rischia di spalancare nuovamente le porte alla disinformazione. Torneranno a circolare sulla piattaforma più contenuti dannosi, come teorie del complotto, commenti dei cosiddetti Troll che portano odio in rete… ma Zuckerber è disposto ad accettare ciò, in quanto questo è il prezzo da pagare per il “free speech”.
Bisogna anche ricordare che i contenuti estremi “fanno comodo” alle piattaforme perchè generano engagement (like, commenti, condivisioni) e sono quindi più monetizzabili.

E’ interessante notare che negli ultimi giorni, dopo questo annuncio fatto da Zuckerberg, sono aumentate ad dismisura le ricerche su come cancellare i propri account Facebook e Instagram.

Ad ogni modo, questi cambiamenti implicano una maggiore responsabilità per gli utenti. Sarà fondamentale sviluppare un pensiero critico e imparare a riconoscere le fonti affidabili, diventando consumatori di informazione più consapevoli. La capacità di distinguere notizie accurate da quelle false o imprecise diventerà sempre più cruciale nel mondo digitale.




USA: Google dovrà vendere Chrome (e forse Android)

Il Dipartimento di Giustizia americano ha iniziato una causa antitrust presso un giudice federale contro Google (Alphabet), per ottenere una sentenza che imponga al colosso dei motori di ricerca la vendita forzata del suo browser Chrome ad un acquirente approvato dalla Corte.
Non solo: le sarà anche impedito il rilascio di altri browser per almeno 5 anni.


Il motivo alla base di queste richieste è porre fine al suo monopolio nelle ricerche su internet e ristabilire la corretta concorrenza nel mercato pubblicitario online.
Secondo il Governo USA, in sostanza, se Google ha il monopolio delle ricerche, ha anche il dominio sulla pubblicità che compare nei risultati, e ciò grazie al fatto che Google è il motore di ricerca predefinito di Chrome.
In effetti questo è quanto l’Europa dice già da anni riguardo le big tech: sono sistemi chiusi, che impediscono l’accesso ai rivali nel mercato della pubblicità e delle I.A.

Se Google dovesse rinunciare al ramo centrale del suo business, entrerebbero nelle sue casse fino 20 miliardi di dollari, tale è il valore di Chrome.

Inoltre anche il sistema operativo per smartphone, Android, contribuisce al successo di Google, essendone il motore di ricerca predefinito: se si cerca qualcosa dalla home del cellulare, la si cerca con Google.
Quindi probabilmente verrà chiesto di vendere anche Android o di far sì che non sia l’opzione di default.

Da Mountain View, tali richieste sono state definite estreme ed avanzerà controproposte più moderate, contando anche sul fatto che il procedimento terminerà sotto un governo diverso, quello di Trump, più liberista di quello Biden.
L’azienda ha poi dichiarato che ricorrerà in appello, avanzando obiezioni e perplessità perchè da un’operazione del genere avrebbero un danno consumatori, sviluppatori e l’intera leadership americana.

Si attende la sentenza entro agosto 2025.
Ma siamo sicuri che sia questo che gli utenti vogliono?

L’ombra dell’IA nel mondo delle voci: lo scontento di doppiatori e conduttori

L’avvento dell’intelligenza artificiale sta rivoluzionando numerosi settori, compreso quello dell’audiovisivo. Se da un lato l’IA offre nuovi strumenti e possibilità creative, dall’altro solleva preoccupazioni, soprattutto per l’impatto sul lavoro umano.
Negli ultimi mesi, due eventi hanno messo in luce questa complessa realtà: l’esperimento di una radio polacca che ha sostituito i suoi conduttori con voci generate dall’IA e le proteste dei doppiatori giapponesi, preoccupati per la crescente minaccia rappresentata dall’intelligenza artificiale.



LA RADIO CON DOPPIATORI ARTIFICIALI

Il 22-10-2024 la radio polacca OFF Radio Krakow ha fatto parlare di sé a livello internazionale dopo aver trasmesso un’intervista alla vincitrice del Premio Nobel per la letteratura del 1996, la poetessa Wislawa Szymborska.
Peccato che la Szymborska sia morta nel 2012 l’intervistatrice Emilia non esista.
A dialogare erano due voci sintetiche, una delle quali replicava la voce e interpretava i pensieri del Premio Nobel, basandosi su sue interviste rilasciate quando era in vita.
La radio ha infatti affidato la conduzione dei suoi programmi a tre avatar virtuali creati dall’IA.
Questa scelta, motivata dalla volontà di esplorare le potenzialità dell’intelligenza artificiale e di raggiungere un pubblico più giovane, ha però portato al licenziamento di diversi giornalisti.
Molte sono state le polemiche. E’ chiaro che l’introduzione di conduttori artificiali fosse un modo per tagliare i costi: questi non vanno in malattia, non possono scioperare, né esprimere critiche ai loro editori o dimettersi e, soprattutto, lavorano gratis.
A seguito delle proteste e di una petizione che ha raccolto 23.000 firme, il direttore dell’emittente ha spiegato che si è trattato solo di un esperimento che già in partenza doveva durare solo 3 mesi ed ha interrotto il progetto il 29/10/2024, dopo una sola settimana. Tuttavia, nessun reintegro è previsto: la radio ora trasmette soltanto musica, senza programmi affidati a conduttori.



I DOPPIATORI “ALZANO LA VOCE”

In Giappone, i doppiatori stanno manifestando il loro disappunto per l’utilizzo sempre più frequente delle voci sintetiche nell’industria audiovisiva. Temono che l’IA possa sostituirli completamente, privandoli del loro lavoro e svalutando l’arte del doppiaggio.
Una performance generata artificialmente non potrà mai equivalere a quella di un essere umano: toglie l’anima e la spontaneità da un’esibizione” affermano.
Si sentono “derubati” della loro voce. Spesso, infatti, viene chiesto loro di firmare contratti che consentano alle aziende di creare una versione sintetica della loro voce da utilizzare successivamente, senza il loro coinvolgimento e senza chiarire se otterrebbero compensi aggiuntivi per l’uso della loro voce riprodotta.
Un’altra preoccupazione riguarda la possibilità che gli strumenti di sintesi vocale facciano pronunciare loro affermazioni gravi e diffamatorie senza il loro consenso.
Vi sono poi questioni etiche più profonde come l’uso postumo delle voci: cosa accadrà alla voce di un doppiatore scomparso? Chi avrà il diritto di utilizzarla?
Purtroppo attualmente i doppiatori non godono di un’adeguata protezione legale: al contrario di un volto o di un’opera, la voce non è ancora riconosciuta come proprietà intellettuale.




L’intelligenza artificiale fa passi da gigante e ad una velocità incredibile. Resta da capire se sarà più un’opportunità o una minaccia per media, radio e giornalismo, perché piuttosto che sostituire l’uomo, l’IA dovrebbe essere uno strumento per potenziare le capacità creative degli artisti e dei professionisti del settore.



IT Wallet, il 23 ottobre arriva il portafoglio digitale

Lo avevamo anticipato a gennaio (qui), ma ora ci siamo: durante il G7 su innovazione e digitale è stato annunciato che la sperimentazione* di IT Wallet è terminata: dal 23 ottobre il portafoglio digitale sarà disponibile nell’App Io** per 50mila cittadini. Dal 20 novembre le utenze attive saranno 1 milione, mentre dal 4 dicembre tutti gli Italiani avranno accesso a questo servizio.



COS’E’ IT WALLET

Si tratta di un “portafoglio” digitale che consentirà di tenere a portata di smartphone (sull’app Io) la versione digitalizzata dei nostri documenti.
Si potranno caricare documenti personali (inizialmente patente, tessera sanitaria e carta europea della disabilità. In futuro anche la carta d’identità elettronica, passaporto, e tessera elettorale), che avranno fin da subito valore legale anche in contesti fisici, come in farmacia o nei controlli stradali delle autorità.
In futuro saranno caricabili anche documenti professionali (appartenenza ad albi, badge di accesso a sedi della P.A., permessi e licenze), certificati anagrafici (residenza, nascita, cittadinanza, matrimonio, etc), ma anche documenti scolastici, abbonamenti e biglietti per trasporti o musei.
Quando tutto sarà a regime IT Wallet potrebbe integrarsi anche con attestati ISEE, fascicoli sanitari elettronici, firme digitali e tanto altro.

Dal 2025, si potranno effettuare pagamenti verso P.A. (multe, tributi) con il sistema pagoPA, e privati, integrando nel “portafoglio” sistemi di pagamento come Bancomat, Postepay, Satispay etc.
Si potranno acquistare farmaci con ricetta medica, attivare nuove SIM, noleggiare auto e accedere ai servizi pubblici, senza dover presentare documenti fisici.
Avremo poi anche piattaforme dedicate ai professionisti, che potranno digitalizzare perizie, titoli, attestati tecnici, e partecipare a bandi pubblici ecc.



IL PORTAFOGLIO EUROPEO

Un sistema come l’IT Wallet verrà implementato non solo nel nostro Paese, ma in tutta l’UE.
La commissione Europea intende creare l’EUDI (European Digital Identity Wallet) un’identità digitale e portafoglio di documenti che dovrà essere disponibile in tutti Paesi dell’Unione entro il 2026.
Gli stati membri dell’Ue saranno obbligati ad accettare le identità digitali degli altri Paesi e le varie app nazionali potranno dialogare.
Sarà così possibile, in ogni Stato europeo, accedere ai servizi pubblici, aprire conti bancari, iscriversi all’Università o cercare lavoro etc, senza confini geografici.
Di recente anche la Gemania ha iniziato a lavorare su suo e-wallet.
L’Italia è in anticipo sulla scadenza fissata dall’Europa. Il Governo ha utilizzato per questo progetto poco più di 300 milioni di euro, anche grazie ai fondi PNRR destinati alla digitalizzazione.

Anche aziende private (qualificate e certificate) potranno proporre soluzioni di portafogli digitali. In questo modo i cittadini avranno libertà di scelta e si promuoverà l’innovazione.



Sarà necessario divulgare ed informare i cittadini sulle potenzialità di IT Wallet (e sulle modalità di accesso) perché questo strumento, completo e utile, ci porta verso una società sempre più connessa e interattiva.




* Test eseguiti a luglio.
** L’applicazione dei servizi pubblici per il cittadino, già ampiamente usata durante la pandemia di COVID-19 per il download dei Green Pass.