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DIGITAL SERVICE ACT: OGGI LA SCADENZA PER 19 BIG TECH


LE 19 BIG TECH DESIGNATE

Con il Digital Service Act (DSA), Regolamento Europeo in vigore da Novembre ‘22, l’UE mira a creare un ambiente digitale sicuro e affidabile per salvaguardare i diritti dei consumatori, contrastando la disinformazione (es: fake news), i contenuti illegali e la violenza online (es: incitamento all’odio, violenza di genere) ed incentivando la protezione dei minori e la trasparenza su profilazione, pubblicità e modalità di moderazione.

Il 25 Aprile la Commissione Europea ha designato 19 giganti del Web che saranno i primi a doversi adeguare. Sono stati scelti in base al loro bacino d’utenza: ogni mese offrono servizi ad almeno il 10% della popolazione dell’UE, cioè 45 milioni* di persone). Proprio oggi, 25 agosto, scadono i termini per queste 19 piattaforme per adeguarsi, c che rischiano multe fino al 6% del fatturato o il blocco temporaneo dell’attività.

Questi colossi, insigniti ora di responsabilità, sono:
Motori di ricerca: Bing e Google Search
E-Commerce: Alibaba AliExpress, Amazon Store, Apple AppStore, Zalando (unica europea)
Social Media: Facebook, Instagram, Twitter (X), TikTok, Snapchat, LinkedIn, Pinterest
Servizi Google: Google Play, Google Maps e Google Shopping
Altro: Booking.com, Wikipedia e YouTube

Queste big tech hanno avuto 4 mesi di tempo per consegnare all’UE i rapporti di valutazione dei rischi sistemici delle proprie piattaforme e stabilire come intervenire in proposito.

GLI OBBLIGHI IMPOSTI DAL DSA

– TRASPARENZA: I social dovranno rivelare il funzionamento dei propri algoritmi, ovvero i meccanismi che regolano l’organizzazione e la visualizzazione dei contenuti. Da adesso gli utenti europei di FB, Instagram, Tiktok etc avranno l’occasione di stabilire autonomamente l’importanza di ogni contenuto: potranno scegliere di visualizzare post, stories e reels ordinati in modo alternativo a quello stabilito dagli algoritmi, per es. scegliendo l’ordine cronologico o mostrando i più popolari nel Paese o nel mondo, anziché per “rilevanza personalizzata”.
Questa, per TikTok, è una novità di grande importanza visto che il suo successo deriva proprio da un algoritmo che fin’ora, per tenere gli utenti incollati allo schermo, ha proposto contenuti sempre in linea con i loro interessi.

Le piattaforme dovranno anche rendere pubblici i repertori di tutti gli annunci pubblicitari apparsi sulle interfacce.

– NOTIFICA DI CONTENUTI ILLECITI: permettere agli utenti di segnalare contenuti illeciti, valutarli ed eventualmente rimuoverli (notificando i sospetti reati alle autorità).

– MODERAZIONE: I social network dovranno fare guerra alle fake news, ai contenuti violenti o illegali, ai discorsi d’odio e alle molestie, gli e-commerce dovranno dare la caccia alle recensioni false o a prodotti vietati o contraffatti, rimuovendo contenuti.
Le piattaforme dovranno informare gli utenti della decisione di moderare o rimuovere un loro contenuto, motivandola e permettendo la contestazione.

– PROFILAZIONE:
nasce l’obbligo di fornire all’utente l’opzione di non ricevere suggerimenti basati sulla profilazione.
Il DSA impone di non mostrare annunci basati su orientamento sessuale, religione, idee politiche o dati sensibili e vieta quelli personalizzati verso i minori. Impone anche di rendere noto agli utenti il perché vedono una pubblicità o sapere chi la finanzia e dare la possibilità di nasconderla e disattivare gli annunci personalizzati.

– CHIAREZZA nei termini di servizio, che devono essere facilmente comprensibili per chiunque.

I PRIMI RICORSI

Amazon si è appellata alla Corte di Giustizia per essere esclusa dall’elenco delle 19 very large company, in quanto il DSA deve colpire solo le compagnie che hanno la pubblicità come prima fonte di reddito e che distribuiscono informazioni, ma Amazon non corrisponde a questa descrizione: i suoi ricavi provengono per la maggior parte dalla vendita al dettaglio. Anzi, se la compagnia di Seattle dovesse conformarsi al DSA, avrebbe onerosi obblighi amministrativi che alla fine danneggerebbero i consumatori europei.

Anche Zalando (unica azienda europea delle 19) ha lamentato l’inclusione nella lista ed ha fatto ricorso, spiegando che il proprio business si basa sul retail e che il numero di visitatori europei è molto inferiore alla soglia fissata dal DSA.

Wikipedia, dal canto suo, ritiene di funzionare in modo diverso dalle altre 18 piattaforme: è l’unica realtà no-profit, dove la lotta alle false informazioni viene già intrapresa grazie alle comunità di redattori volontari che decidono in collaborazione contenuti e regole. Sono loro a comporre in modo neutrale le voci dell’enciclopedia, riportando le fonti. Il sito è già trasparente e il pubblico può vedere ogni modifica su una voce nello storico della pagina.

I PROSSIMI PASSI

La Commissione europea valuterà ora le risposte delle 19 piattaforme e gli interventi da loro attuati.
Queste saranno poi soggette annualmente e a loro spese a un controllo indipendente che valuti la compliance delle misure.

E’ previsto inoltre che queste piattaforme versino una fee annuale calcolata sul loro numero di utenti europei (per un massimo dello 0,05% del fatturato annuo globale), per far funzionare la macchina dei controlli.
L’UE conta di incassare circa 45 milioni l’anno prossimo.

E poi… da febbraio 2024 il regolamento si applicherà anche a piattaforme più piccole: 10mila in totale.
Siamo molto curiosi di scoprire quali saranno!

*Google Search: 332 milioni – Wikipedia: 151 milioni – Facebook: 255 milioni – TikTok: 125 milioni – Snapchat: 96,8 milioni




TWITTER DIVENTA X, l’app UNIVERSALE


STUPORE NEL WEEKEND

Con gran stupore, domenica 23 luglio il mondo intero ha appreso da Elon Musk, che la piattaforma Twitter sarebbe stata stravolta.
Presto diremo addio al marchio Twitter e, gradualmente, a tutti gli uccelli” queste le sue parole.
In 24 ore, da lunedì 24 luglio, il famosissimo social ha cambiato nome, diventando “X”, ed il nuovo logo ha sostituito il celebre uccellino blu.
Musk non ha perso tempo: il giorno successivo è stata rimossa anche l’insegna dalla facciata della sede centrale a San Francisco, su cui in serata è stato proiettato il logo inedito.
Anche le immagini dei profili ufficiali dell’azienda californiana sono cambiate, così come il logo nella versione web (a breve cambierà anche il logo dell’app su smartphone).
Per ora il dominio web è ancora twitter.com, ma è già attivo l’indirizzo x.com che rimanda alla stessa pagina e che nelle prossime ore lo sostituirà del tutto.
(Una curiosità: il dominio x.com venne registrato da Musk nel 1999 ed ospitava il sito di una banca online, che nel 2000 diventò PayPal).

I MOTIVI DEL REBRANDING

Patron Tesla ha acquistato Twitter lo scorso ottobre per 44 miliardi di dollari (più del suo effettivo valore, essendo Twitter in difficoltà da anni) decidendo nel giro di pochi mesi e con una mossa a sorpresa di cambiarlo radicalmente, non solo dal punto di vista estetico.
Dietro questa scelta c’è l’ambizione di Musk di trasformare la piattaforma in una “app per tutto”, dunque il nome Twitter aveva senso finché si trattava di un social di microblogging, con messaggi brevi, fino a 140 caratteri – come appunto dei cinguettii – ma non più ora che si vuol renderla qualcosa di molto più ampio.

L’APP PER… TUTTO

Il miliardario sudafricano immagina X come un’applicazione polivalente (una “everything app”) che includerà una vasta gamma di contenuti, le classiche funzionalità da social (messaggistica, multimedia, lunghi video, etc) ma anche servizi differenti: comunicazioni e fintech, con la capacità di gestire l’intero mondo finanziario degli utenti, tra pagamenti digitali e operazioni bancarie*.
La piattaforma supererà quindi le sue origini social, ambendo ad evolversi in una super app.

La CEO Linda Yaccarino ha affermato: “X è la versione futura dell’interattività illimitata – incentrata su audio, video, messaggistica, pagamenti bancari – che crea un mercato globale per idee, beni, servizi e opportunità. Alimentato dall’intelligenza artificiale, X ci connetterà tutti in modi che stiamo appena iniziando a immaginare. Non c’è alcun limite a questa trasformazione. X sarà la piattaforma in grado di offrire, beh….tutto”.

NOME E LOGO: PROBABILI CAUSE LEGALI

Perché una X come nuovo nome? Questa lettera è un chiodo fisso per Elon Musk: ha spiegato che semplicemente gli è sempre piaciuta. In effetti è già a capo dell’azienda aerospaziale SapceX e di X.AI..

E’ molto alto, però, il rischio di veder sorgere controversie legali: sulle lettere dell’alfabeto esistono diritti di proprietà intellettuale e marchi registrati (solo negli USA sono circa 900 le registrazioni in vari settori) e, per ironia della sorte, proprio le due rivali – Meta e Microsoft – hanno diritti sul marchio. Microsoft lo registrò nel 2003 per la consolle Xbox; Zuckerberg invece nel 2019 per Meta Platforms.
Quindi per Musk c’è il pericolo che gli venga bloccato l’uso del marchio X o che debba pagare milioni di dollari per cercare di raggiungere accordi e ottenerne lui stesso la registrazione.
Riguardo al Logo, sembra molto generico e poco caratterizzante, anche se sembra non sia ancora definitivo.
Molti lo trovano troppo simile alla lettera X del font Special Alphabets 4 di Monotype (rispetto al quale si differenzia solo lo per lo spessore di una delle linee) e al carattere (U+1D54F) del sistema di codifica Unicode.

LE CONSEGUENZE DELLA NUOVA IDENTITA’

La completa trasformazione di Twitter è sembrata un’operazione frettolosa e si teme che il marchio risulti poco riconoscibile.
In effetti gli inserzionisti si sono dimezzati nell’ultimo periodo, preoccupati che questo cambiamento possa allontanare gli utenti dalla piattaforma.
Alcuni analisti ritengono che Twitter (X) abbia perso più del 90% del suo valore da ottobre ‘22 a oggi e che la perdita si aggiri tra i 4 e 20 miliardi di dollari. Musk stesso ha ammesso che i guadagni provenienti dalle pubblicità sono calati del 50%.


Il tempo ci dirà se Musk riuscirà a recuperare la fiducia di utenti e sponsor dopo questo rinnovamento rivoluzionario, anche considerando che Zuckerberg ha lanciato proprio questo mese l’app Threads, diretta concorrente di Twitter (ora X).
Vedremo quanta gente rimarrà a pubblicare tweet… o forse dovremmo chiamarli Xeet?


* Il modello proposto sembra simile a quello di WeChat, app cinese di Tencent, nata inizialmente come semplice app di chat nel 2007, trasformatasi poi in social network e diventata infine, in vera e propria identità digitale, con cui gli utenti cinesi possono per esempio anche pagare i biglietti della metropolitana